“Non ne voglio più” è quello che ho detto quando la mia canina di 17 anni ci ha lasciati 12 anni fa. Era marroncina, un incrocio fra un lupo ed un Labrador, negli occhi aveva la scintilla di chi ama incondizionatamente, e nel cuore un profondo e sincero amore per noi. Per i primi mesi il dolore era troppo forte, tanto da non voler accarezzare un cane nemmeno per strada. Trovavamo i suoi peli sui sedili della macchina ed il suo collare, ormai inutilizzato, sul mobile nell’ingresso. Il senso di colpa di rendeva inconsolabili perchè eravamo stati a noi a prendere la decisione di lasciarla andare, consapevoli che fosse la scelta giusta e che sarebbe stata meglio in cielo.
Una sera di Luglio, 1 anno e mezzo dopo che Lilli ci aveva lasciati, ero a casa dei miei suoceri a Livorno. ero sul divano e ricordo come se fosse ieri il momento in cui mio suocero aprì la porta di casa con una scatola di scarpe nelle mani. Pensavo fosse un nuovo acquisto ed invece all’interno c’era un batuffolo di pelo nero.
All’inizio non capii, poi sentii un guaito e mi accordi che li dentro c’era un piccolo cucciolo di cocker che profumava come solo i piccoli sanno fare. Le sue orecchie erano sproporzionate per la dimensione del suo corpo e gli occhioni marroni emanavano una luce splendida.
“Questo è un cucciolo di cocker di un collega e l’ho portato qui per vedere se qualcuno poteva volerlo!”
Quella sera trascorsi ogni minuto con lui e, quando venne l’ora di andare a dormire, gli preparai una cuccia di fortuna nel piccolo bagno vicino alla camera. Di notte si svegliava spesso e per farsi riconoscere mi diete una bella zampata nel viso. Quello fu il momento in cui capii che doveva rimanere con me.
La parte difficile era convincere i miei genitori che ancora stavano soffrendo per la perdita di Lilli. Mamma non voleva saperne, non voleva nemmeno guardare questo batuffolo nero perché sapeva che nel momento in cui l’avesse fatto non avrebbe potuto dire di no.
Un giorno però lo fece e bastò poco per convincerla che potevamo tenerlo. Non poteva immaginare che sarebbe diventato il suo migliore amico, il compagno di notti in solitudine e di colazioni mattutine all’alba quando tutti ancora dormono. Un fidato compagno di avventura che le diceva “ti voglio bene” raggiungendola sul divano nel pomeriggio e seguendola ovunque per la casa.
Aveva una crocetta bianca sul petto ed il libretto sanitario diceva che il cucciolo si chiamava “Crocetta”, ma era un lui e quindi diventò CRUZ.
I primi mesi furono un mix di dormite sul divano stravaccato con una pallina blu e nera, mobili mordicchiati, morsi sulle mani, ma anche di corse nel giardino e gite fuori porta.
Col tempo conquistò i nostri cuori e divenne un secondo figlio per i miei ed un fratello per me.
Non è mai facile spiegare a chi non ha animali cosa significa perdere un cane. Hai paura di esser preso per pazzo e di sembrare irrispettoso verso le persone, gli umani, che soffrono o sono malate.
Ma, infondo, i cani sono come le persone.
Ci sono volte in cui li guardi e capisci esattamente quanto grande sia l’amore che provano per te. E lui ne ha dato tanto di amore. Ha voluto aspettare che io tornassi da Rimini per dirci che non ce l’avrebbe fatta più e quell’ennesima decisione di dire basta è toccata a noi tre, di nuovo. Una settimana fa ti dicevamo addio e mentre ti addormentavi non ho smesso un secondo di accarezzarti e di dirti che sarebbe andato tutto bene. Perché ti ho sempre parlato, forse stupidamente, perché credevo che in modo o nell’altro mi avresti capito.
Non ci sono parole per descrivere il profondo vuoto che resta, pieno di ricordi che saranno sempre un collegamento a lui. Il cancello semi chiuso per non farlo uscire da giardino, il “wof” abbaiato appena suoni il campanello, la parola magica “bissscotto” per farlo correre da te anche se non c’è nessun biscotto in premio.
Ci sono giorni in cui torno a casa e sono così abituata ad averlo in giro che sembra impossibile che non ci sia più, eppure è così, proprio la realtà. E quando Elena è tornata a casa ed ha chiesto immediatamente “dov’è Cruz” il mio cuore si è spezzato di nuovo, perchè il suo amico se n’era andato per sempre “in un prato lontano dove gioca con altri cani vecchietti correndo e giocando”.
Ha lasciato molte cose a noi adulti ed insegnato così tanto ad una bambina di 3 anni ed ora di lui resta un piccolo ricordo in quel prato dove correva con gioia anche se nei nostri cuori ci sarà sempre un posto per lui.
“Non ne voglio più” è stato quello che abbiamo detto i miei genitori ed io anche questa volta. Basta cani! Troppo dolore per troppi pochi anni di vita. Però, se Mamma quel giorno non lo avesse guardato negli occhi e non avesse detto “si” non avremmo mai conosciuto il nostro Cruz. Oggi forse non saremmo così tristi, ma quanti bei momenti avremmo perso?
Un cane ti resta nel cuore per sempre ed il tempo aiuta ad affievolire il dolore, ma nel cuore ci sarà sempre uno spazio per lui, anche a distanza di anni. Ti dona tutto te stesso, incondizionatamente e tu puoi solo lasciarti travolgere dal suo infinito amore!
Loving CRUZ
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